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PLACARE “L’IRA DELL’UNIVERSO”?

PLACARE “L’IRA DELL’UNIVERSO”?

Qualche giorno or sono, in una delle tante piazze d’Italia, si è tenuta una delle tante manifestazioni al grido di “Free Palestine!”. Per chi assiste a questi eventi, ciò che più importa è aderire a quello che effettivamente si vede e si sente: cosa apparentemente semplice, ma in realtà molto difficile. (Si tratta di guardare a quello che accade come, appunto, una “manifestazione”, cioè il rapido disvelamento di un lembo di realtà senza filtri ideologici, piuttosto che come una “dimostrazione”, che ha un tono astratto e dottrinario.) 

Sono passate le otto della sera, ma la luce è densa come miele, così che persone e cose acquistano un risalto particolare. Da una delle principali vie del centro sfocia dentro la piazza (una delle più belle d’Italia) un lungo corteo composto quasi completamente da giovani e irto di bandiere palestinesi, con una spruzzata di bandiere rosse appartenenti a un gruppuscolo di estrema. Apre il corteo un camion imbandierato, che procede a passo d’uomo e si ferma su uno dei lati della piazza, quello opposto alla chiesa più simbolica della città.

Il primo a sporgersi dal bordo del camion è un giovanotto in maniche di camicia; e quando comincia a parlare gli slogan si vanno spegnendo, e le braccia alzate con le due dita a V restano incerte e pian piano si abbassano: non perché il giovane parla arabo (qualcuno accanto lo traduce in simultanea, e comunque si tratta di tre o quattro minuti), ma perché cita i versi iniziali del Corano, dove si parla di Dio come “il Compassionevole, il Misericordioso”. Pochi minuti: ma sono bastati per creare un’atmosfera nuova. 

Che è intensificata dal secondo e ultimo intervento: di una giovane donna che parla un italiano da madrelingua, e presenta se stessa come nata da padre palestinese e madre marocchina. La giovane parla esclusivamente delle vittime civili, senza alcun accenno al nemico o alla vendetta, ma chiedendo di ricordare tutti quei morti (compresi, come sappiamo, i molti bambini); e conclude anche lei rapidamente, puntando un braccio verso il cielo e invitando a un minuto di silenzio per quelli che guardano da lassù. Con questo, la dimostrazione è finita, e si scioglie pacificamente.

Ma resta a lungo, dietro la rètina e nella retrocamera del cervello, l’immagine di quella specie di Giovanna d’Arco disarmata e in t-shirt, con il braccio levato verso le nubi. Iperbolica? Incongrua? Anacronistica? — Tutte queste cose insieme? — Nessuna di queste cose? Questa mescolanza potenzialmente contraddittoria di elementi è uno dei tratti distintivi di ciò che, in mancanza di parole più adatte, potremmo chiamare spiritualità. E’ una spiritualità delle vittime (non vittimistica), in cui si apre uno spiraglio sulla categoria del martirio; e la meditazione sul martirio è uno degli elementi comuni alla spiritualità di tutte e tre le grandi religioni monoteistiche nate nel Vicino Oriente. (Se poi la parola “martire” sembrasse troppo enfatica, si pensi alla parola opposta, “eroe”: che l’aggressiva retorica negli Usa appiccica a ogni vittima americana, compresi i caduti durante l’attacco dell’Undici Settembre.)

Un articolo del “Washington Post” di qualche giorno fa citava un padre palestinese sopravvissuto, con una sua bimba di sei anni, a una bomba aerea che aveva ucciso la moglie insieme con gli altri loro quattro loro figli, a Gaza. “Mi sentii ricolmo di tutta l’ira dell’universo”, diceva il padre — ma poi subito smorzava l’iperbole: “Mi sentii ricolmo di tutta l’ira dell’universo, ma quando seppi che una delle mie figlie era ancora viva resi grazie a Dio, perché quella bambina potrà conservare qualcosa del sorriso delle sue sorelle”. Ecco: la capacità di cambiare direzione a metà di una frase e di un pensiero mostra come questo concetto che a volte può sembrare troppo pesante (“spiritualità”) sia in effetti la descrizione realistica di tante piccole o minime sfumature della realtà.

P. S. La città in questione è Bologna, che è stata un po’ maliziosamente descritta come “la più importante città di provincia in Italia”. Qualunque cosa ciò significhi, il piccolo episodio appena descritto è stato il primo — nella serie di dichiarazioni abbastanza superficiali che per il momento punteggiano la campagna elettorale — che abbia dato il senso dell’anima multiforme della città.

Paolo Valesio

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